Leggi l’intervista su Stress e Cibo alla Dott.ssa Antonella Fornaro, psicologa, psicoterapeuta, psico-oncologa, consulente di LILT Biella per la promozione della salute
Spesso si parla di prevenzione e di determinanti della salute. Quello su cui si punta di più sono gli stili di vita: cibo, tabacco, alcol e attività fisica. Purtroppo si parla poco di un altro elemento che rientra tra gli stili di vita e che andrebbe riconosciuto e gestito nel modo migliore possibile per proteggere il nostro benessere psicofisico: lo stress.
Prima di andare alla relazione tra stress e cibo, capiamo meglio cosa si intende per stress insieme alla nostra Psicologa.
Che cos’è lo stress?
Il termine inglese stress significa molte cose: sollecitare, accentuare, forzare. Però, per definire che cosa sia lo stress, si possono considerare, di base, tre settori: il primo è quello dello stress come uno stimolo percepito dall’individuo come fastidioso, negativo, nocivo. Il secondo è quello di stress come risposta fisiologica. Il terzo è lo stress come risposta agli stimoli ambientali.
Quindi, di solito, lo stress è percepito come un qualcosa di negativo per la persona che lo vive?
Sì. Però, anche se ogni forma di stress viene vissuta come tensione, apprensione, preoccupazione, esiste un “eustress” (lo stress “buono”) che è di breve durata e viene percepito come uno stimolo positivo per la persona. Si pensi, ad esempio, al matrimonio, o alla nascita di un figlio. Anche un stress e cibo può rientrare nell’eustress, se viene visto come una crescita professionale alla propria portata e con risvolti favorevoli.
Esiste poi il “distress” (lo stress “cattivo”): questo è negativo e può durare anche a lungo: si pensi, ad esempio, alla perdita del lavoro, al vivere in una casa in cui ci sono vicini molesti, al vivere a lungo con una malattia o in una situazione di minaccia.
Se lo stress dura a lungo è pericoloso per la salute?
L’esposizione ad un agente stressogeno crea una serie di risposte fisiologiche. All’inizio c’è una reazione che predispone l’individuo ad attacco o fuga: si tratta di una reazione appresa e ancestrale. Immaginiamo, ad esempio, di essere uomini primitivi e di trovarci improvvisamente dinnanzi ad un serpente o ad una tigre; l’organismo doveva rapidamente, immediatamente, essere pronto o a fuggire dal pericolo o ad affrontarlo. Oggi, naturalmente, gli stress acuti e brevi sono altri: ad esempio un esame universitario o un’interrogazione a scuola, il cliente difficile che ti mette alla prova, fare un esame medico ed attendere una risposta.
In questa prima fase il corpo stimola la produzione del cortisolo (un ormone che provoca un aumento della produzione di zuccheri nel sangue, utili al cervello e a fornire energia ai muscoli) e di adrenalina che determina un‘accelerazione del battito cardiaco e del respiro. Vi è inoltre, un’amplificazione di tutti i sensi, un aumento della sudorazione, la dilatazione delle pupille; il corpo, inoltre, stimola le difese immunitarie.
Se lo stress perdura, l’organismo compie un grosso sforzo per adattarsi a questa condizione che, se non cessa, porta l’organismo ad uno stato di “esaurimento” psico-fisico che può causare un abbassamento delle difese immunitarie e può determinare malattie organiche (cardiache, gastriche, dermatologiche, tumorali). Da un punto di vista psicologico può causare forme di depressione, ansia, attacchi di panico, rabbia. Da un punto di vista cognitivo una riduzione dell’attenzione e della concentrazione, un non ricordare le cose, la fatica a prendere decisioni o una sensazione di confusione. Alcune persone affermano anche che vogliono “scappare via”.
Esiste una correlazione tra stress e cibo?
Tutti noi sappiamo che esiste un qualcosa che ci porta, in condizioni di forte stress ad avere un rapporto diverso con il cibo: alcune persone perdono l’appetito, altre, invece, mangiano in modo esagerato e compulsivo.
In teoria, dinnanzi ad uno stress acuto, nella prima fase, si dovrebbe assistere ad una riduzione del senso di appetito: come abbiamo accennato, c’è una forte produzione di cortisolo, un ormone che determina la produzione di glucosio. Questo comporta un’inibizione della motilità gastrica e senso di sazietà che, nel medio-lungo termine, determina un calo di peso.
La realtà è che, se per alcune persone il senso di inappetenza e di chiusura della “bocca dello stomaco” prevale, altre persone provano, da subito, un aumento dell’appetito e non una riduzione.
Alcuni studi ne hanno cercato le cause e le risposte che sono state date dai ricercatori seguono principalmente due linee. La prima rileva che le persone che tendono a mangiare di più sono quelle che abitualmente si sottopongono a diete e controllo del cibo: in questo caso lo stress produce un sovraccarico di richiesta psicofisica che determina un “mollare” esagerando nel cibo. La seconda linea ritiene che le persone che non provano inappetenza, ma ricercano il cibo e ne mangiano di più siano persone che mangiano per “fame emotiva” (sono definiti “emotional over-eating”). Il risultato è un chiaro aumento di peso.
Quindi lo stress fa mangiare in modo alterato?
Stress e cibo sono strettamente collegati in quanto, sia nel senso della riduzione che nel senso dell’eccesso, l’esposizione allo stress altera sia il rapporto con il cibo, sia la dimensione del piacere dell’atto del mangiare.
L’inappetenza e la “fame emotiva”, ma anche alcune recidive in disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia), possono essere una conseguenza a situazioni prolungate di forte tensione emotiva, che mettono a dura prova l’individuo, a volte anche nella propria immagine di sé.
Quindi cambia il senso di fame?
A dire il vero, la parola “fame” è un termine che non esprime in modo corretto quello che realmente capita soprattutto per chi mangia molto di più sotto stress. Infatti, le persone, in queste situazioni, chiamano “fame” il loro “bisogno” di mangiare (un bisogno che a volte ha la forma della compulsione e della perdita di controllo), ma non è fame; in realtà è un’espressione di disagio, tristezza, ansia, senso di fallimento, paura, insicurezza, senso di scarso valore. Di questo si tratta, e non di “fame”.
Come mai allora le persone che mangiano tanto sotto stress riferiscono proprio la “sensazione di avere fame”?
Alcuni autori hanno spiegato questo fenomeno nel primo rapporto madre-figlio: alcune madri non riescono a “sintonizzarsi” con i bisogni del proprio bambino piccolo e reagiscono ai suoi disagi nutrendolo. Il non riconoscere e nominare correttamente le emozioni da parte della madre, pone le basi per una sorta di “analfabetismo emotivo” tale per cui certe sensazioni (che corrispondono, più in profondità, a certe emozioni) avviano la risposta “fame” cioè “nutrirsi”, “mangiare”, invece di “mi sento triste”,”ho paura di non farcela”, “mi sento poco capace”. Il mangiare soffoca e placa queste emozioni che, la maggior parte delle volte, non sono neanche riconosciute.
Cosa fare per gestire stress e cibo?
Spesso, quando si è molto stressati, la causa dello stress diventa un pensiero prevalente e quasi unico, per questo è necessario recuperare una vita con un panorama più ampio ed un’immagine di sé più positiva.
Le cose da fare sono diverse e dipendono sia dal grado di stress, sia da quanto tempo esso è presente nella vita, sia dalla profondità del disagio e del malessere. Alcune semplici indicazioni possono essere queste: fare esercizi di rilassamento e di respirazione; dedicarsi momenti piacevoli; fare attività fisica (aumenta le endorfine, gli ormoni del buon umore); parlare con persone empatiche, capaci di comprendere, non giudicare e ridare positività; stare con amici e in situazioni sociali; creare dei momenti per se stessi. Per alcune persone la fede e la preghiera rappresentano forti punti di riferimento e di grande sostegno.
Per chi, invece, si accorge di essere “al limite”, si sente “depresso” o angosciato, sente di non sopportare più la propria condizione di vita, parlare con un professionista può essere la scelta migliore.
Sia uno psicologo, che fa un lavoro sulla profondità dell’individuo e sul recupero delle risorse personali, sia un medico specialista che possa dare sollievo con farmaci adeguati, le possibilità per stare meglio, affrontare le difficoltà e avere uno slancio in più per superarle possono contribuire a recuperare una vita qualitativamente migliore.