Ecco alcuni suggerimenti su cosa fare e cosa non fare quando abbiamo a che fare con un malato oncologico.
Aiutare un malato di tumore implica grande sensibilità e consapevolezza. I nostri goffi tentativi, infatti, seppur in buona fede, possono rischiare di creare ulteriore disagio nella persona cara. È dunque importante capire come accostarci ad essa per offrire il nostro supporto.
Comprendere il percorso del malato
La comunicazione della diagnosi di tumore rappresenta un vero e proprio shock: in questi primi momenti, che a volte durano anche parecchi giorni, la persona sembra incredula e anche un po’ emotivamente fredda, quasi distaccata da ciò che ormai sa. Progressivamente si fa strada la paura ed il senso di forte minaccia alla propria vita.
La reazione immediatamente successiva e frequente è quella della persona che inizia a lottare, ad affrontare passo passo tutto ciò che serve per far fronte alla malattia, perché le tante fatiche possono dare prospettive di guarigione e di vita.
Lotta contro il tumore e conflitto interiore
In questi periodi, la cosa che spesso rende stupefatti, è l’energia profusa. Tra chi non ha mai avuto questa malattia, è comune pensare che la persona abbia il destino segnato e che, pertanto, si senta abbattuta, già sconfitta in partenza, che non abbia energie, che sia fortemente depressa.
Se alle volte è effettivamente così, molto più spesso, in fase iniziale predomina la lotta, non c’è spazio per il compatimento di sé. Questo non significa che le persone non si chiedano: “Perché proprio a me?”, “Cosa ho fatto di male per meritarmi questo?”; “Pensavo di aver già dato e sofferto abbastanza nella mia vita!”. Tuttavia, e positivamente, la prima parte della malattia, dalla diagnosi all’inizio delle cure, è caratterizzata dal fare.
Non compatire
Questa condizione e questa modalità cambiano poi con il proseguire del tempo, dei trattamenti e dei successivi controlli secondo direzioni differenti; spesso si presentano disturbi d’ansia, abbassamento del tono dell’umore, depressione, tutte condizioni la cui durata è variabile.
Quello che è certo è che quasi tutti i malati non amano il compatimento, le troppe domande, il vedersi rispecchiati negli occhi degli altri come quelli “malati”, quelli che “chissà se ce la faranno”, quelli che “poverini”. La pietà non piace e non serve, toglie energie, speranza e positività in chi sta lottando con la malattia e cerca di tornare alla normalità.
Certo, tutti abbiamo sperimentato nella nostra vita il non sapere come comportarci in certe circostanze, o il non saper cosa dire, ma tutti noi sappiamo come si è comportata la persona che, in momenti di difficoltà, ci è stata vicina.
Cosa è bene non fare per aiutare il malato oncologico ed evitare di creare disagio e ulteriore sofferenza?
Non serve:
- sminuire il problema;
- dare certezze di guarigione (se le certezze non ci sono);
- fare la battuta sdrammatizzante;
- negare la realtà del problema;
- inquisire con mille, invadenti ed inutili domande;
- compatire;
- dare mille soluzioni;
- fare la morale o sgridare;
- far notare che “c’è tanta gente che sta peggio”.
Tutto questo fa solo sentire la persona non capita, sola, sbagliata.
Allora cosa fare per aiutare un malato di tumore?
La cosa più semplice e forse più difficile da fare quando ci si sente coinvolti, in imbarazzo o impauriti da una situazione: stare ad ascoltare, cercare di capire cosa l’altro sta vivendo, stare là dove la persona ha bisogno che noi stiamo. Alle volte questo significa stare un po’ fuori, perché in quel momento la persona non se la sente di parlare, oppure rimanere nella superficialità di un discorso fatto apposta per non pensare per un momento e recuperare energie.
È utile trasmettere l’idea della comprensione della fatica, ma anche della grande forza, della tanta energia, della tenacia che si tirano fuori e che si sono tirate fuori nel tempo e nella vita per gestire tutto e per andare avanti.
È importante riuscire ad accettare i momenti di naturale sconforto che la persona può provare, consapevoli del fatto che poi si risolleverà, troverà nuova forza e vigore, e che, in ogni caso, continuerà ad affrontare la vita.
È importante vedere la persona malata non come “il malato”, ma come “la persona” che abbiamo sempre conosciuto, con la sua personalità, la sua storia, il suo modo di essere perché “il malato” è sempre e soprattutto “persona” ed ha bisogno di riconoscersi nella sua globalità e identità che, anche nella malattia, permangono.
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