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In Hospice si può abbracciare anche con gli occhi.

Hospice - LILT Biella

Intervista a Sabrina Ravinetto, coordinatrice infermieristica dell’Hospice di Biella

Che cosa vuol dire riuscire a garantire un’opportunità sanitaria ad elevata intensità assistenziale e specifiche competenze cliniche ai tempi del coronavirus? O, meglio, che cosa vuol dire essere Hospice, una comunità che accoglie, cura e accompagna le persone in un momento di grande fragilità mentre il mondo si blocca per quella che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito una pandemia? Lo abbiamo chiesto a Sabrina Ravinetto, coordinatrice infermieristica dell’Hospice di Biella.

Sabrina, ci racconti che cosa sta succedendo all’Hospice?

In pochi giorni, sono davvero cambiate tante cose. Continuiamo ad operare al terzo piano dell’Ospedale di Biella, non ci fermiamo. Ma non possiamo dire che è tutto normale. Da noi le conseguenze del Coronavirus sono percepibili sulla routine quotidiana del nostro lavoro.

In cosa è cambiato?

Sembra una banalità ma, per prima cosa, ciò che balza subito all’attenzione, è il silenzio. Qui da noi è un po’ come stare a casa propria, c’è sempre un gran via vai. Adesso non più, a partire dai volontari che non possono più entrare in ospedale e stare vicini ai pazienti e alle loro famiglie. Poi manca il contatto: seguiamo alla lettera tutte le norme vigenti. Quindi lavoriamo costantemente in sicurezza, ad un metro di distanza. Ma accogliere, stare vicini, accompagnare i malati e i loro famigliari significa in molti casi anche solo tenere una mano, abbracciare, toccare una spalla. E questo non è più possibile. Ci restano le parole ma, spesso non bastano. E, forse, è anche per questo che c’è così tanto silenzio.

Qual è stata la scelta più difficile da prendere?

Sicuramente quella di dover permettere l’accesso a solo un parente per paziente. E’ difficile dover spiegare alle persone che non è possibile fare altrimenti. Conosciamo il loro dolore, lo percepiamo sino in fondo, ne siamo partecipi, ma in questo momento non possiamo agire in altro modo.

Avete paura?

Certamente sì, ma abbiamo scelto questo lavoro e le responsabilità che ne conseguono. Quindi manteniamo la calma e ci occupiamo come sempre dei pazienti e dei loro famigliari che sono in una situazione di difficoltà a cui si somma la situazione di fragilità che tutto il mondo sta concretamente vivendo.

L’obiettivo dell’Hospice è quello di dare la migliore qualità di vita possibile in un momento di grande fragilità. E’ ancora così in questo momento?

Sì, ne sono certa. Nonostante tutto non abbiamo perso quel senso di comunità che ci lega all’interno di queste 10 stanze: pazienti, famigliari, volontari, infermieri, medici e assistenti sanitari. E se non possiamo abbracciarci, e se non possiamo anche solo sfiorarci, pazienza. Stiamo imparando che, spesso, si può abbracciare anche con gli occhi.

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