Le cure palliative domiciliari a Biella nascono negli anni novanta: una storia lunga più di 20 anni attraverso la voce e le testimonianze dell’équipe di LILT Biella che, da sempre, sostiene le persone in un momento di grande fragilità.
Maria è stata la prima paziente dell’Hospice di Biella. Ad accoglierla, il 25 gennaio 2001, nel giorno dell’apertura di una realtà che avrebbe così tanto segnato la storia del territorio biellese, Susanna G., operatrice socio sanitaria. A passarle il testimone, Susanna A., infermiera che sino al giorno prima aveva seguito Maria con l’équipe di cure palliative di LILT Biella nata qualche anno prima per dare sollievo e cura ai pazienti direttamente a domicilio. Entrambe lavorano ancora con le tante persone che vivono momenti di grande fragilità. Entrambe sono ancora lì, in Hospice.
Le abbiamo incontrate, insieme a Sabrina Ravinetto, coordinatrice infermieristica dell’Hospice di Biella, per ripercorrere insieme le tappe più importanti di una storia lunga più di 20 anni.
Susanna A., ci racconti come sono nate le cure palliative a Biella?
Siamo partiti con il Dott. Caucino come piccola équipe che faceva volontariato sul territorio. Pensare oggi a quei primi momenti fa sorridere perché c’era tanta voglia di fare, poche risorse e seguivamo pochi pazienti nonostante il nostro impegno costante: eravamo in prima linea, sabati e domeniche incluse. Poi nel 1998 con LILT Biella siamo riusciti a creare una struttura più solida e sicuramente professionale formata da più medici e infermieri e riuscivamo a seguire 10/15 pazienti su tutto il territorio biellese. Anche il Fondo Edo Tempia era impegnato con una sua équipe e, grazie al Dott. Peruselli dell’ASL di Biella, si è riusciti a convogliare le varie équipe in un unico gruppo operativo. Oggi le cure palliative a domicilio sono seguite direttamente dall’ASL di Biella e noi “ragazze” proseguiamo il nostro lavoro qui in Hospice. Quanti ricordi, però.
Ti va di raccontare?
Beh, le cure palliative domiciliari ti introducono direttamente nel mondo del paziente. Sei a casa sua, tra le sue cose, nella sua vita. Sono tante le persone che, ancora oggi, sono rimaste mie amiche. Anche dopo che il loro caro è dipartito. Perché in quei momenti, in quegli attimi si instaurano legami così forti che restano nel tempo. Nelle cure palliative è importante il concetto della cura. Anche quando curare significa non guarire. E spesso, curare in queste situazioni significa anche non fare. Ma esserci, sempre, fino alle fine.
E Maria?
Maria me la ricordo bene. Era una paziente in capo all’ équipe di cure palliative del territorio. La seguivo a domicilio, conoscevo la sua famiglia. Poi è entrata in Hospice che aveva aperto sotto la guida attenta di Ruth Burnhill. L’aveva chiamata proprio il Dott. Valentini dall’Inghilterra dove erano nati i primi Hospice e dove aveva fatto esperienza, per dare a Biella un’opportunità sanitaria ad elevata intensità assistenziale e competenze cliniche.
Sabrina, tu sei arrivata nel 2003 e tu, Susanna, nel 2001: come è stato lavorare in Hospice in quel periodo?
Sabrina: lavorare in Hospice per me è stata una vera e propria scelta. Ho sempre pensato che l’Hospice sarebbe stato il luogo in cui la mia professionalità si sarebbe potuta esprimere al massimo. Ho lavorato sin da subito fianco a fianco con Ruth, mi ha insegnato tanto, soprattutto l’accudimento della persona a tutto tondo. Per lavorare qui sono necessarie davvero molte competenze: abituarsi al distacco non è mai semplice. Io ho sempre pensato che ogni persona di cui mi sono presa cura in tutti questi anni mi ha lasciato qualcosa e si è portata via qualcosa di me. Perché loro ci sono state e la loro presenza ha attraversato la mia vita.
Susanna G.: Anche per me Ruth è stata fondamentale: ci insegnava, facendo. Soprattutto ci ha insegnato che la morte è qualcosa di umano e come sia possibile fare qualcosa per le persone sino alla fine. Fino a che c’è vita, c’è vita e in Hospice si viene per vivere, sino all’ultimo respiro.
Susanna G. ti ricordi qualche caso in particolare che ti ha più colpita?
Sì, una volta, una paziente, mi ha chiesto “Morirò questa notte?”. Ecco, che cosa si può rispondere di fronte a una domanda simile? La nostra équipe è sostenuta da una psicologa che ci insegna proprio questo: a farci carico anche delle paure dei pazienti, a far loro da specchio. Sì, perché tutti noi abbiamo paura di morire e ci sono momenti, come quello che mi è capitato, in cui l’unica risposta da dare è “sappi che ci sono, e anche io ho paura. Esattamente come ne hai tu in questo momento”. Poi ci sono quei casi in cui sono i genitori che accompagnano i figli verso la dipartita. Nella nostra lingua non esiste nemmeno un nome in grado di definire queste situazioni. Non esiste nulla per definire tutto ciò.
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